Archivio mensile:Gennaio 2015

La differenza tra la poltrona e la posizione eretta

poltrona

Sebbene le cose migliori che la storia dell’umanità possa raccontare siano avvenute in posizione eretta, sebbene lo sviluppo del genere umano sia stato studiato osservando la posizione eretta, sebbene un leader lo si riconosca dalla posizione eretta, tuttavia la poltrona continua a suscitare il suo fascino, con quella sua seduta che ne ricorda altre meno edificanti, ancorché fisiologicamente necessarie al metabolismo.
In posizione eretta l’uomo dilata il diaframma, consentendo una maggiore ossigenazione degli organi vitali. In posizione eretta l’uomo vede lontano, benedice l’orizzonte, segna il perimetro della sua conoscenza e ne brama con passione lo sconfinamento. Da seduto l’uomo può compiere imprese solo nella misura in cui abbia indossato quella dignità che la posizione eretta può conferire. In posizione eretta l’uomo guarda il suo amico negli occhi ed esplora la mappa del retrosguardo del nemico. Seduto in poltrona egli non conosce, se non attraverso quello che altri gli raccontano o gli dicono di fare, con tutti i rischi connessi ad una conoscenza non vissuta in prima persona. Senza conoscenza diretta la poltrona assurge al rango di sabbia mobile.
La poltrona ha un senso solo con un libro tra le mani, un libro che dia valore aggiunto ai neuroni, scritto da chi a quelle parole sia giunto per il tramite di un travaglio interiore. Magari accanto a un camino, con una musica soave, composta da chi a quelle note sia giunto attraverso un percorso ardito di montagna o navigando per mari in burrasca.
Allora perché tanta bramosia nella corsa alle poltrone? Forse perché nella cultura occidentale hanno assunto una semantica imprecisa. Nelle migliori antropologie, quelle orientali per esempio, la postazione dell’uomo saggio non era in poltrona, sicuramente seduto, ma più spesso a gambe incrociate per terra. In occidente, invece, più la poltrona non è la tua, più ti viene calata dall’alto, maggiore il fascino che essa esercita sugli ominicchi e i quaquaraquà (prendendo a mutuo la suddivisione dell’umanità che Leonardo Sciascia posò sulle labbra del don Mariano nel Giorno della Civetta).
Prendo il cranio amletico in mano e aggirandomi tra dubbi più o meno esistenziali mi pongo dinanzi al dilemma della poltrona: chi fa più pena, colui che anela alla poltrona solo per poggiarvi la parte più nobile che ha, o colui che, senza onorare il talamo del merito, gonfia il petto nello scegliere le natiche che debbano scaldare dette poltrone?

Una lettura controcorrente degli attentati parigini. Se per ogni bambino e adolescente garantiremo educazione, famiglia, gioco e cultura…..

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Nei giorni che hanno seguito gli attentati parigini, sui social si sono susseguite spiegazioni più o meno credibili delle macchinazioni e dei moventi alla base della strategia del terrore. Certo, a voler ragionare con il decoder della geopolitica, basta capire a chi possa giovare la tensione creata per cercare eventuali e misteriosi mandanti: da coloro i quali vogliono serrare le frontiere extra UE in entrata, a chi ha interesse a colpire euro e dollaro. Tutte ipotesi rispettabili, ma la mia paura è che ai più sfugga un dato sociologico fondamentale. I due fratelli che hanno massacrato la redazione di Charlie Hebdo avevano avuto un’infanzia difficile. Sì, proprio così, quella che sovente è una battuta tra amici, “hai avuto un’infanzia difficile!”.I due terroristi vivevano nella periferia disagiata della capitale francese, senza riferimenti familiari, senza un piano educativo di sostegno e di integrazione. Raccogliere adepti in un ambiente del genere è quanto di più semplice. Vedi Scampia. La differenza tra gli adolescenti che rapinano, spacciano e ammazzano a Scampia e i ragazzi di origine mediorientale che, dopo una vita difficile, abbracciano una fede estremista è estremamente labile.La disperazione e la mancanza di riferimenti affettivi ed educativi non può che produrre problemi di adattamento psicologico e sociale. Se dall’analisi della tremenda settimana francese ne verrà fuori solo una giro di vite sulle politiche di immigrazione, allora vorrà dire che le tesi dietrologiche avranno fatto centro. Se, invece, per una volta, daremo ascolto a chi, come me, da anni implora un maggiore investimento pubblico e privato nel miglioramento delle condizioni di infanzia e adolescenza, senza distinzione di etnia e nazionalità, tantomeno di religione, creeremo un humus differente. Un terreno fertile nel quale la zizzania del fondamentalismo, di qualsiasi matrice, non potrebbe in alcun modo attecchire. Se per ogni bambino e adolescente garantiremo educazione, famiglia, gioco e cultura, se ogni giovane avvertirà la sensazione di avere le medesime opportunità di tutti i suoi coetanei, sarà più arduo per i fomentatori del terrore reclutare povere anime sbandate.Anche questa volta temo che anziché fare la guerra alla povertà, rischiamo di fare la guerra ai poveri. Ciò equivarrebbe ad un secondo attentato alle radici della convivenza pacifica. Chiediamo a gran voce di investire in educazione, aumentando la gratificazione degli insegnanti e la loro formazione. Gridiamo il desiderio di cultura, autentica forma di libertà e autodeterminazione. Coloriamo le periferie e non ricordiamoci dei loro abitanti solo nelle competizioni elettorali. In quelle periferie cresce la gran parte dei futuri cittadini adulti.

Mollo tutto! Vado a lavorare in Puglia

dal Blog “Il Cortile e il Pancotto”

In una passeggiata domenicale, alla ricerca di cortili rurali, mi imbatto in immense aziende agricole, il cui aspetto racconta al tempo stesso un passato glorioso, un presente muto ed un futuro inesistente.

Non ho potuto fare a meno di immaginare quelle stesse gloriose masserie incastrate in Valle d’Itria o nel celebratissimo Salento. Di sicuro avrebbero ospitato gente con gli idiomi più disparati, cullati dalla magia che il mix di cultura enogastronomica e tradizioni locali sanno dare, tra una sauna e una passeggiata negli uliveti secolari, tra un massaggio ayurvedico e una carezza ai muretti a secco.

Molte di queste masserie, a due passi da Foggia, a breve verranno abbattute, per evitare che su di esse si abbattano bizantine norme sull’accatastamento degli immobili rurali. Oppure, come mi dice un fattore che puzzava di nostalgia di tempi andati, a causa di una burocrazia lenta, costosa, corrotta.

Se questa è la mentalità, la storica campagna foggiana morirà e tornerà ad essere latifondo. Non credo come Marx che la proprietà privata sia un furto, ma piuttosto non farla fruttare in termini di occupazione e indotto mi pare scellerato, questo sì. E sono certo si troverebbe il modo per detassare l’accatastamento dei fabbricati rurali, in costanza di un investimento occupazionale.

E’ la sfida che tanti folli che sto incontrando vogliono raccogliere. Pare che i visionari siano come le api, ad un certo punto si ritrovano in un medesimo luogo, guidati da affinità elettive misteriose eppure esistenti. Da mesi incontro visionari, tra cui Giuseppe Savino che, stanco di raccogliere olive “a perdenza” ha trasformato la raccolta delle olive in esperienza culturale e turistica. Federico Ceschin e Claudio e Paolo Grenzi che portano a Bari, al teatro Margherita, una mostra per comunicare e “vendere” il prodotto turistico dauno, in particolare le Vie Francigene. Peppe Zullo, che con la Condotta Slow Food Foggia e Monti Dauni domenica prossima organizza “Il Natale dei Viandanti: rievocazioni gastronomiche lungo le Vie Francigene e verso la Terra Santa”. Da ultimo Giuseppe Sciretta. Questo, vi avverto, è pericoloso per chi lo incontra. Vive su un’altra atmosfera e ogni tanto lancia verso il basso utopie concrete, come quella di prendere in prestito da Expo 2015 qualche migliaio di turisti asiatici e portarli sui Monti Dauni!

Eroi della Restanza, chimici dell’utopia concreta, esteti della Terra Madre, briganti della vita lenta.

Sarà un caso, ma sulla copertina del numero di novembre del mensile Millionaire, si ergeva un titolo che mi ha fatto gonfiare il petto: “Mollo tutto! Vado a lavorare in Puglia”.

L’aeroporto non diventi un alibi

Indovinello. Dovete indovinare un luogo.

Di questo luogo nel 1949 dissero Togliatti e De Gasperi che era la vergona d’Italia. Le sue abitazioni furono descritte da Calo Levi come un ambiente paragonabile all’inferno di Dante. Nel 1950 Adriano Olivetti capisce le potenzialità e ne fa un laboratorio sperimentale a cielo aperto, tanto che nel 1993 diventa il primo sito del mezzogiorno ad essere riconosciuto patrimonio dell’umanità. Nel 2019 questo luogo sarà Capitale Europea della Cultura. E’ Matera, che ha fatto della sua infernale vergona la sua fortuna.

Ma ora, provate a cliccare su Google “come raggiungere Matera” oppure “come arrivare a Matera”. Ecco i risultati.

Navetta: servizio di transfer su prenotazione dall’aeroporto di Bari, poi circa un’ora e mezza per arrivare a destinazione

Treno: Matera non è ancora collegata alla rete FS. E’ servita dalle ferrovie a scartamento ridotto F.A.L. (Ferrovie Appulo Lucane) che la collegano a BARI in tempi che vanno dai 60 ai 90 minuti. Oppure ci si può servire delle stazioni di Ferrandina Scalo o di Metaponto.

Per carità, nonostante la mia naturale attitudine ad andare contro corrente, non mi schiero contro l’aeroporto, anche un bambino capirebbe che una infrastruttura del genere sarebbe altamente strategica. Ma proprio non riesco ad abbassare la testa e a seguire la moda senza prima elaborare con senso critico e costruttivo, come tutti quelli cresciuti in cortile e amanti della filosofia.

Primo. Attenzione che l’aeroporto non diventi un alibi o un modo per nascondere altri e ben più gravi problemi. La prima barriera architettonica del turismo sul Gargano è la scarsa propensione ad investire in qualità e professionalità, la realtà è più nel senso di chiudere al primo di settembre e andare a fare il secondo lavoro, spesso a nero. Il primo problema dell’imprenditoria foggiana, invece, è dover fare i conti con corruzione dilagante e criminalità spavalda e sfacciata. Chiamiamo le cose con il loro nome.

Secondo. Attenzione che con tutta l’attenzione puntata sull’aeroporto non ci sfilino sotto il naso la fermata ferroviaria dell’alta velocità Bari-Napoli. Una tal sconfitta taglierebbe l’intera Daunia da tutto il versante tirrenico della penisola, a vantaggio di Valle D’Itria e Salento.

Nelle more della auspicabile vittoria della battaglia per l’Hub foggiano, sarebbe un errore macroscopico tralasciare gli investimenti in cultura, qualità, formazione. Se un giorno un tedesco atterrerà a Foggia per far visita al Gargano, o ai Monti Dauni o per camminare sulla Via Francigena, ebbene dovrà aver voglia di visitare Foggia, per quello che si può vedere, per quello che si può fare, per i servizi che saprà offrire e la loro qualità. Molti siti turistici e imprenditoriali non sono partiti dall’aeroporto, il traffico aereo li ha premiati in seguito.

Cristina, Iaia e Daniela

dal BLOG “Il Cortile e il Pancotto”

La rinascita di Foggia? Speriamo che sia femmina. Anzi, già lo è. Lunedì scorso Cristina Cucci ha battezzato la neonata associazione antiracket di Foggia (esisteva a Vieste ma non nel capoluogo dauno), di cui è stata insignita presidente. Cristina era già da considerarsi generosa e coraggiosa nella misura in cui aveva deciso di scommettere su un “mercato” in forte crisi: il matrimonio. Infatti, aveva da poco aperto un’agenzia per la organizzazione di eventi nuziali, sulla scorta del modello americano. Chissà che ora non si dedichi anche alla nuova moda made in Usa di organizzare eventi per festeggiare separazioni e divorzi!

Nel gennaio scorso Iaia Calvio denunciava pubblicamente e mediaticamente il clima di ricatto e di connivenze presenti all’interno del Comune di Orta nova. Un simpaticissimo parlamentare di Capitanata aveva addirittura chiesto un’interrogazione parlamentare sull’eccessiva esposizione mediatica di questa donna. Iaia attirava su Foggia e Provincia l’attenzione dei maggiori network e riusciva a meritare il Premio Nenni 2014, assegnato a chi fra politici, giornalisti, attivisti, si è contraddistinto per alte qualità morali, umane e politiche, per la difesa dei diritti dei più deboli, per l’uguaglianza, per il benessere della collettività, per la lotta alle mafie e alla corruzione, per la salvaguardia dell’ambiente.

Una così, io me la porterei in giro come una reliquia. Un bollino di qualità in tema di legalità e difesa dei diritti civili che, immagino nella mia ingenuità, spaventa chi non è educato ad arricchirsi attraverso il culto della differenza di pensiero e del confronto di vedute. Iaia avrebbe dovuto avere la fila dietro la porta per ricevere inviti e incarichi. Ed invece inviti e incarichi seguono alchimie differenti a quelle che hanno ispirato il Comitato del Premio Nenni. Per la cronaca nel programma dell’ultima festa de L’Unità Iaia non era tra gli invitati sul palco. Piuttosto riceve inviti in giro per l’Italia. Nessuna donna è profeta in casa sua.

Daniela Marcone da poco meno di 20 anni attende Giustizia. Ma la Giustizia ha chiuso i battenti rispetto al caso dell’omicidio di suo padre. “Che si faccia piazza pulita della diffusa omertà, della sempre più pericolosa indifferenza, delle collusioni abilmente mascherate ma tragicamente operanti nel tessuto sociale” predicava Mons. Casale il 3 aprile 1995 nell’omelia del funerale. Daniela non ha mollato. Le donne di questa terra non mollano. Daniela continua la sua battaglia in Libera, al fianco di Don Ciotti, uno al quale affiderei le politiche in tema di giustizia, di cultura, di lavoro, di equità sociale.

Cristina, Iaia, Daniela. Tre Gabbiani Jonathan Livingston. Diteci la rotta. Anche contro vento, non importa. Anzi, pare che contro vento si voli più in alto.

Sangue e Pomodoro

dal BLOG “Il Cortile e il Pancotto”

Internazionale è un settimanale che ha come mission quella di raccogliere i migliori reportage in giro per il mondo. La Fondazione Bill & Melinda Gates è stata creata da Bill Gates e da sua moglie Melinda French per combattere le disuguaglianze sociali. Lo European Journalism Center è una fondazione internazionale, no-profit, indipendente, dedicata ai più elevati standard di giornalismo e con il suo programma mira a promuovere approcci creativi di reporting, consentendo così una migliore copertura dei temi dello sviluppo internazionale.

Le Monde Diplomatique è un giornale d’opinione francese, ma anche un giornale di documentazione ed inchiesta, con profonda attenzione alla qualità della redazione dei suoi articoli. Venerdì 26 settembre 2014 a Foggia c’è stato uno strano corteo. Cosa c’entrano tutte queste entità tra loro? In uno dei miei libri preferiti, il Minotauro di Benjamin Tammuz, vari interpreti apparentemente slegati tra loro nello spazio e nel tempo, all’epilogo si trovano ad avvitarsi attorno alla medesima vicenda umana.

Le Monde Diplomatique commissiona ai propri reporter Mathilde Auvillain e Stefano Liberti un’inchiesta sulla raccolta del pomodoro in Capitanata. L’inchiesta viene agganciata al programma dello European Journalism Center, che ne accredita l’alto spessore qualitativo. Il reportage viene finanziato dalla Fondazione Bill & Melinda Gates. Internazionale ne dedica la copertina e il servizio principale.

Il reportage racconta di una terra di Capitanata macchiata della piaga dello schiavismo: che altro sostantivo trovare quando si lavora per dieci ore al giorno senza poter bere o urinare o evacuare, se non di corsa o di nascosto e poi tornare a riposare in casolari diroccati senza luce e acqua, gestiti da italiani senza pietà che noleggiano il posto letto pur non vantando alcun titolo di proprietà su tali casolari? E se dessimo l’espulsione anche agli schiavisti? Troppo difficile.

I neri non votano, gli schifosi schiavisti sì. Molti di questi schiavi sono ghanesi. Abbiamo invaso il loro paese con il nostro pomodoro. In Ghana il pomodoro pugliese viene rivenduto a cifre irrisorie rispetto a quello che la massaia foggiana paga per un barattolo di pelati. Raccolti qui, a due passi da noi. Per tale ragione molti agricoltori ghanesi hanno abbandonato i loro campi e hanno affrontato il viaggio della disperazione verso l’Italia per venire in una città dove si rischia di essere accoltellati se chiedi con insistenza l’elemosina. Una città dove le uniche forme di accoglienza sono appannaggio del volontariato.

Perché la politica locale degli ultimi 20 anni non ha mai avuto la cifra per studiare strategie di integrazione culturale. Troppa paura di trovarsi a che fare con l’imbecille di turno che ragiona come Salvini. L’imbecille vota, il nero no. Venerdì 26 settembre 2014 un corteo di circa 50 tra uomini e donne provenienti dalle terre d’Africa ha sfilato educatamente per le vie di Foggia. Avevano cartelli che chiedevano il diritto ad una paga equa.

Avevano cartelli contro lo schifo del caporalato, che, sia chiaro, può esistere solo grazie a connivenze e aderenze in determinate stanze della Foggia bene. Cosa fare? Poco, se vogliamo pagare l’IMU nel girone dei pusillanimi. Molto, se vogliamo pronunciare la parola Giustizia senza tappare le narici. Scegliere è la più alta espressione di libertà, ma anche una evidente manifestazione di potere. Scelgo i pomodori che provengono dalle cooperative nate nelle campagne confiscate alla malavita. Scelgo il pomodoro a marchio Equapulia. Scelgo, ergo sum.

Saper fare e saper essere

dal BLOG “Il Cortile e il Pancotto”

Quando incontro gruppi di giovani chiedo sempre loro due cose: il nome di battesimo e il sogno. Delle due mi rimane impresso il sogno, o almeno quei sogni che si staccano rispetto a una normalità imperante e noiosa. E’ un periodo in cui mi confronto con molti di loro sulle scelte che in questo ciclo devono prendere: università, master, corsi, esperienze all’estero o in Patria.

E’ l’approccio che è sbagliato. Non sia cosa faccio, ma cosa sono e cosa sarò. Non sia cosa voglio, piuttosto cosa desidero imparare. Non cosa voglio ottenere, ma cosa desidero dare. E’ un approccio molto latino, poco anglosassone, ma direi anche poco romantico. Sogno un colloquio di lavoro non già sui titoli, bensì sulle motivazioni e sulle esperienze. Va bene la laurea, i master, lo stage, le pubblicazioni, i dottorati.

Va tutto bene, ma oltre al saper fare è importante il saper essere. Se potessi selezionare il management di una società cercherei il gene del gabbiano Jonathan Livingstone nei giovani, il sacro fuoco della follia, lo sguardo del visionario impavido. Chiederei ad un giovane se ha mai scavalcato un muro o un cancello. Se ha mai conteso la fidanzatina al capo del cortile accanto. Se si è mai arrampicato su un albero per recuperare un pallone. Se ha mai viaggiato senza soldi in tasca o comunque senza elargizioni di mami e papi.

Se ha mai lavorato per mantenersi o comunque per il superfluo. Se ha mai gustato il sapore della interdizione della mèta. Se ha mai regalato il proprio tempo ai meno fortunati. Se dinanzi ad un problema altrui se ne infischia o piuttosto empatizza, sostiene e si sporca le mani. Se ha raggiunto orizzonti dove il cellulare non ha campo. Se ha conosciuto il deserto, fuori e dentro di sé. Se si è fermato in luoghi per più settimane per conoscere costumi e culture. Se ha viaggiato da solo. Se ha scritto almeno una poesia ed una lettera d’amore, a mano, carta e inchiostro, e soprattutto se ha avuto il coraggio di inviare l’una e l’altra. Credete sia fuori dalla logica tutto ciò?

Laszlo Bock, direttore del personale di Google, ha spiegato le caratteristiche che cerca nei futuri assunti: “Capacità cognitiva, cosa ben diversa dal quoziente di intelligenza. Bensì attitudine a risolvere senza ansia i problemi. Poi capacità di leadership, che vuol dire farsi avanti e condurre, come pure capire quando è necessario tirarsi indietro e lasciar condurre ad altri”. Noi pugliesi, i cui antenati hanno spietrato la terra per renderla fertile, sapremo fare e sapremo essere ovunque, a patto che recuperiamo le radici. Ed ora partite pure ragazzi cari. E ogni tanto scriveteci una lettera, a mano, carta e inchiostro.

Lettera ad Antonio, martire ed eroe della Restanza

dal BLOG ‘Il Cortile e il Pancotto’

Antonio caro, sono uscito dal cortile per la prima volta da quando vi sono tornato. Scavalco e vengo a cercarti. Voglio conoscere la tua vita, voglio raccontarla e, sebbene con tutti i miei limiti, vorrei prenderla a esempio. Mi piacerebbe arrivare da te come il Barone Rampante, passando di albero in albero, ma per lunghi tratti durante il tragitto la distanza tra un albero e l’altro è tanta, anche se mi dicono che tanto tempo fa dal mio cortile alla tua terra si poteva giungere passando di albero in albero.

Non ho tempo per approfondire le ragioni. Scendo a terra e inizio a correre. Sento urla di dolore, dalla terra, dal cielo, dal mare. Si parla di un ragazzo che è restato, si parla di un eroe, di un martire della restanza. Sei rimasto, tu hai avuto la follia per restare. Tu non hai aspettato un concorso, né il favore del potente, né ti sei cullato davanti al bar del dolce far niente. Hanno ragione, sei un eroe, ora anche un martire.

Ecco sono arrivato, ti ho trovato. Intorno un gran vociare sulle cause, le colpe, i colpevoli. Non ho titolo per partecipare alla discussione, io che, sull’amato Gargano, ho mangiato, ballato e brindato nei monumenti dell’abusivismo e nei mausolei dei facili condoni. Devo fare silenzio. Sono qui solo per arricchirmi del tuo sacro esempio. Solo tu avresti diritto di parlare ora, tacciano tutti i sepolcri imbiancati. Nelle scuole del Sud, di ogni Sud, dovrebbero insegnare come materia la Restanza. E sui libri di questa materia più di un capitolo ti sarebbe dedicato.

Chi ci dice che la nostra terra è povera, mente: mentre ce lo dicono in realtà ce la usurpano. Chi ci dice che la nostra terra non può produrre ricchezza ha lo stesso gene di chi ci ha uniti 150 anni fa e da allora ha fatto in modo che molti dei nostri padri andassero a cercare miglior sorte altrove, spesso all’estero. Da oggi in poi abbiamo un motivo in più per restare e difendere la nostra terra dauna: il tuo sacro esempio.

Nel rinacciare tutti i pezzi della tua vita che solo ora emergono, vedo una tela preziosa, rara. E’ l’attaccamento virale al creato che ti circondava. Un ultimo pensiero ti affido, mio fratello di radici, per il telaio che ha tessuto questa tela preziosa: i tuoi genitori, che hanno saputo instillare in te la genuinità, senza la quale non è possibile amare così follemente tutto quanto di bello ogni giorno vive sotto il cielo.